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Que j’ai gardé la Forme et l’Essence Divine

2019

Dittico fotografico in due versioni: 

stampa fotografica su banner pvc 157x217 cm cad. / stampa su carta fotografica satinata applicata su Dibond 55x40 cm cad.

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Testo di Maria Chiara Wang

Mostra: Trasformazione

Galleria Faro Arte, Marina di Ravenna

28 giugno - 21 luglio 2019

 

Il titolo è la citazione dell’ultima frase della poesia Une charogne di Charles Baudelaire, componimento nel quale il poeta francese, paragonando la propria donna alla carogna incontrata sul loro sentiero, ricrea e ricostruisce la bellezza a partire dalla decomposizione. La forma deturpata viene così ricomposta e la sua magnificenza intrinseca viene riportata alla luce ed elevata a opera d’Arte.

 

                                Alors, ô ma beauté!                                 

Dites à la vermine Qui vous mangera de baisers,

Que j’ai gardé la forme et l’essence divine 

De mes amours décomposés! 

 

E allora, mia bellezza, 

di’ pure ai vermi,

che ti mangeranno di baci,

che ho conservato la forma e la divina essenza

dei miei amori decomposti!

 

Il dittico presenta due Carogne. La prima, con gli arti spalancati, impudica come quella descritta da Baudelaire, offre alla vista dello spettatore il suo sesso e le interiora. La nuova forma attribuitale dall’artista ricorda la coda di una sirena, ricollegandosi così all’elemento dell’acqua. All’aria, invece, rimanda la seconda a cui Vale Palmi dona ali angeliche. 

 

In Que j’ai gardé la Forme et l’Essence Divine ritroviamo alcuni elementi e temi ricorrenti nella produzione della Palmi: dall’uso della latta e dello zinco, alla Sessualizzazione della Decomposizione, all’Elevazione della Morte. 

Lo zinco è un materiale usato nei macelli, e – in quanto tale – evoca il momento del passaggio alla Morte. Nell’opera in questione è presente nello scudo che fa da sfondo ai carcami e serve all’artista per meglio comunicare con l’oggetto/soggetto della sua arte. 

La luce utilizzata per realizzare lo scatto mette in risalto, con crudo realismo, la sessualità, la voluttà e la bellezza della carne. Una bellezza estratta dalla bruttezza della putrefazione del corpo e ottenuta dalla ricomposizione della figura. Come nei ‘Fiori del male’ di Baudelaire, in questo dittico il sublime si mescola all’osceno, il fascino alla repulsione, Eros a Thanatos, risolvendo le antinomie in un unicum indissolubile. 

Que j’ai gardé la Forme et l’Essence Divine vuole essere la negazione della Morte come comunemente intesa e la sua Elevazione come affermazione della Vita dopo la Vita attraverso il cambiamento della Forma. Chi è sensibile può vedere nei cadaveri la vita insita nella dinamicità della trasformazione dovuta alla decomposizione.

Le imponenti dimensioni delle stampe mettono, inoltre, in risalto ‘l’essenza divina’ dei corpi ritratti, rendendo la loro visione quasi soprannaturale. Il cerchio in cui sono racchiusi allude alla perfezione celeste e si configura come un’eco della proporzione, della simmetria e dell’armonia dell'Uomo Vitruviano. 

 

A differenza dei dipinti di carcasse di Chaim Soutine o di Francis Bacon, o ancora delle poesie di Baudelaire, nel lavoro della Palmi vengono meno anche i filtri della pittura e della scrittura; il contatto con il reale è più diretto. Ciò che provoca repulsione e disgusto non viene in alcun modo omesso o celato. Il ‘grido’ di Bacon "Noi tutti siamo carne, siamo potenziali carcasse" in Que j’ai gardé la Forme et l’Essence Divine assume un’accezione positiva e un aspetto rassicurante: se siamo tutti potenziali carcami, allora a noi tutti spetterà la prosecuzione della vita sotto nuove forme anche dopo quella che solitamente viene definita Morte. Il concetto di memento mori viene così reinterpretato e ribaltato.

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